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IL SORRISO
(LE SOURIRE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 5 settembre 1994
 
di Claude Miller, con Jean-Pierre Marielle, Emmanuelle Seigner, Richard Bohringer (Francia, 1994)
 
Emmanuelle Seigner
Neuropsichiatra sessantenne fantasma (e cerca di concretizzare, nei confronti di una giovane tennista aspirante striptiseuse) quelli che sa essere i suoi ultimi ardori: il medico gli ha infatti annunciato l'imminenza di un secondo infarto.

Dopo il letterario e decorativo L'ACCOMPAGNATRICE, l'autore di GARDE A VOUS mette in cantiere uno dei suoi film più ambiziosi: una sorta di somma esistenziale sul tema del sensualità e delle sessualità. Meglio ancora, del desiderio e della sua sublimazione. Si sa come vanno le cose in questi casi: il desiderio di dire tutto e meglio, di toccare i registri più disparati finisce per nuocere anche ai mestieri più solidi del cinema francese.

La varietà di tono è fra le cose più godibili del film: nel quale convivono un lirismo che si vuole sfrenato, una spregiudicatezza che tenta le strade perigliose della poesia onirica, ed un'amarezza sfrontata che (basata com'è sull'interpretazione al solito formidabile di Marielle, e dei dialoghi a tratti irresistibili) finisce per essere la cosa migliore del film. Assai meno utile - per non dire calamitosa - per LE SOURIRE è un altra varietà, quella stilistica. Miller cita Bergman (L'ORA DEL LUPO) e s'invola con i sogni come Bunuel: ma sottolinea voli d'aquiloni sulla spiaggia con filtri colorati ed inquadrature sghembe come il Lelouch che sappiamo. Filma spogliarelli integrali che dovrebbero apparire sfrenatamente liberatori, ed invece sono incredibilmente insipidi: e passa dall'iperrealismo poetico, a polanskiane sbrodolatine di sangue, dalle interviste socio-realiste alla commedie del non-senso con la noncuranza di un ingenuo cinefilo.

La Seigner inalbera allora un piccolo ghigno che, più che sexy, finisce per farla apparire più matta che liberata: ed avvia il film sui binari dell'ambiguità piuttosto che su quelli della riflessione. LE SOURIRE è più fatto, insomma, di generosi errori che di lucide intuizioni: peccato per certi suoi pregi (Marielle, i dialoghi, il personaggio della moglie) che riescono a renderlo in parte godibile.


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